«Non tratta se non di chi è Dio», così Teresa scrive a Gaspar de Salazar presentando il Castello Interiore il 7 dicembre 1577, pochi giorni averlo terminato. Dio e l’uomo sono i protagonisti della storia di amicizia che la santa inizia a raccontare. Da una semplice analisi del capolavoro teresiano, non può passare inosservato il fatto che parli della conoscenza di sé stessi e di Dio in ogni dimora di questo castello.
Ripercorriamo l’itinerario del capolavoro teresiano per apprendere come la persona impara a conoscersi conoscendo Dio.
Nelle prime dimore l’essere umano, creato ad immagine di Dio, ha la necessità di conoscere la grandezza della propria dignità e bellezza, ma poiché conosce anche la sua natura segnata dalle conseguenze del peccato originale, avverte la necessità di conoscere ciò che Dio fa in lui e con lui e per che cosa l’ha voluto chiamandolo all’esistenza ed amandolo.
Per la santa conoscersi non significa compiere un’analisi più o meno psicologica, una introspezione, ma è il guardarsi sotto lo sguardo di Dio, a partire dalla sua chiamata. Infatti aggiunge subito che l’uomo conosce séstesso veramente solo quando conosce Dio: «Mai finiremo di conoscerci se non procuriamo di conoscere Dio. Guardando la sua grandezza, conosceremo la nostra bassezza, guardando la sua purezza, conosceremo la nostra sozzura, considerando la sua umiltà, conosceremo quanto lontani siamo dall’essere umili» (1,2,9). Conoscere Dio significa rispondere alla sua chiamata e alla comunione con Lui, in Cristo (cf. Gaudium et Spes, 19).
Teresa aggiunge a proposito della conoscenza un diretto riferimento all’umiltà, e precisamente all’umiltà di Cristo (cf. Filippesi 2,6-8). Umile è chi segue Cristo e impara nella continua sequela-conoscenza la verità sul figlio di Dio e su sé stesso. Al contrario di quanto comunemente si pensa, l’umile non è chi si ritiene incapace, inadatto, ma chi conosce Gesù, il suo amore personale e quanti talenti dona all’uomo. In una celebre pagina del Castello, afferma lapidariamente la santa madre: «Fissiamo i nostri occhi in Cristo nostro bene e nei suoi santi e vi impareremo la vera umiltà; così il nostro intelletto diventerà nobile e non renderà la nostra conoscenza codarda e vile/basso» (1,2,11).
Il seguire Gesù Cristo per la via dell’umiltà è il cammino che porta alla piena comunione-amicizia con Dio e, senza ridurre il conoscere al solo all’ambito intellettuale, rende pienamente vera la conoscenza di sé. Questa è la caratteristica della conoscenza da acquisire nelle prime dimore del Castello.
Avanzando nel cammino della conoscenza, nelle seconde dimore. l’uomo fa esperienza della dolce voce del Signore. Fino a questo momento è stato sordo e muto, ora scopre gli inviti di Dio e si rende conto di come Dio parla e agisce.
Dio sveglia la coscienza dell’uomo per mezzo delle «parole ascoltate dalla buona gente, o dei sermoni, o nel leggere buoni libri… oppure da quelle verità che insegna quando siamo in orazione… così come le malattie, le sofferenze» (2,1,3).
Il significato ultimo di questi appelli è il far conoscere la volontà di Dio. Conoscersi equivale a conoscere la volontà di Dio, ed in particolare ciò che Dio vuole per me e da me. Il fare la volontà di Dio in ogni situazione della vita è la risposta al dono, cioè alla scoperta di ciò che Dio vuole per me e da me.
La perseveranza nel procurare di compiere sinceramente e sempre ciò che a Lui piace è la chiave per accedere all’esperienza della piena comunione con Dio nelle settime ed ultime dimore.
Nelle terze dimore l’uomo raccoglie i primi frutti del suo lavoro: è desideroso di non offendere Dio neanche in peccati veniali, dedito alla preghiera, ai gesti di carità, si esercita nelle virtù, ecc. A questa buona volontà Dio risponde con la prova per saggiare il suo cuore. Difatti Teresa sa per esperienza personale e altrui, che può nascondersi il rischio di dire “ho già fatto tutto!”. Il giovane ricco che rifiuta lo sguardo di Gesù e la sequela, è l’esempio paradigmatico del pericolo di questo momento: mancare l’appuntamento della generosità dell’amore: «Questo amore sorelle non dev’essere fabbricato nella nostra immaginazione, ma provato con le opere» (3,1,7). In questo momento di passaggio nella conoscenza di sé e di Dio, è di grande aiuto trattarecon persone ricche di esperienza «perché alcune cose che ci sembrano impossibili, vedendo che altri le fanno facilmente, prendiamo coraggio» (3,2,12).
Nelle quarte dimore la conoscenza di Dio e di sé si caratterizza per l’esperienza: l’uomo non può giungervi con la sua intelligenza perché Dio inizia a dare dei doni -gusti- soprannaturali. L’uomo fa esperienza delle verità di fede.
La lezione fondamentale di Teresa è una visione positiva dell’uomo. Se da una parte egli non può vantare nessun merito, per quanti sforzi faccia, per ottenere una sola di queste esperienze di gioia divina, dall’altra riconosce che Dio gli fa conoscere per esperienza la sua grandezza.
Sembra che Dio voglia far conoscere all’uomo che non vi può essere vita cristiana senza un profondo rinnovamento della persona che porti non solo ad amare, ma a vivere da innamorati di Cristo.
Nelle quinte dimore la persona fa esperienza di una nuova giornata della vita cristiana: «Dio vuole che l’anima lo conosca sempre di più» (5,4,4).
Dio concede a Teresa particolare esperienza di Dio che si fa sentire presente, vivo nella sua anima. È la grazia mistica dell’unione, da cui deriva una conoscenza di Dio che si acquisisce però senza che l’anima intenda e sappia ciò che sperimenta. È un’esperienza così profonda che non può dubitare della sua autenticità. Il segno dell’autenticità è la certezza, proveniente da Dio stesso, mediante la quale l’uomo conosce che Dio dimora in lui ed egli è la dimora di Dio.
Questa conoscenza di sé si fa più chiara e nobile perché è frutto dell’esperienza di Dio: è una conoscenza mistica di sé.
Gli effetti evidenti di questa vita trasformata sono descritti come un non riconoscersi più: sono nati nuovi desideri, conosce nuovi grandi tesori.
L’esperienza delle seste dimore si potrebbe sintetizzare in questa frase di Teresa: «posti gli occhi nella sua grandezza corriamo infiammate dal suo amore» (5,4,11).
In questi 11 capitoli Teresa tratta di nuovi e più intimi incontri di Gesù Cristo che originano nuove esperienze di conoscenza di sé.
Dio si comunica all’uomo coinvolgendo tutto il suo essere, anche la sfera sensibile. Cristo si fa presente con intense comunicazioni di amore che producono una «particolare conoscenza di Dio, un amore tenerissimo… e desideri vivi di far piacere solo a Lui e di allontanarsi da tutto ciò che non conduce a lui» (6,8,3).
Ma queste grazie provocano anche una ferita d’amore che solo il Signore può risanare con la sua presenza e unione. Per l’anima innamorata l‘assenza di Dio è una delle maggiori prove purificatrici. Queste ferite d’amore fanno conoscere alla persona, sempre per esperienza, che tutto il bene che vede in sé ha origine in Dio; esse allora generano «una maggiore conoscenza della misericordia di Dio e della sua grandezza» (6,6,5), una esperienza profonda di «conoscenza di sé e di umiltà»(6,5,10). Il binomio umiltà conoscenza delle prime dimore, si arricchisce con l’esperienza mistica. L’uomo conosce sé stesso per l’esperienza del troppo grande amore di Dio.
Nelle settime dimore il rapporto tra la conoscenza di sé e di Dio ha qualcosa di nuovo: con l’ingresso nella stanza centrale, dove Dio abita, si rivelano alla persona i maggiori segreti tra l’uomo e la Trinità. La novità di queste settime dimore è il sommo grado di relazione dell’uomo con la Trinità in Cristo, cioè la permanente compagnia-comunicazione delle tre Persone.
È Gesù che rende partecipe l’uomo dell’unità dell’amore trinitario. La persona ne partecipa pienamente e stabilmente. E mentre cresce la sua esperienza dell’amore di Dio, più conosce sé stessa in Dio, così come ella è conosciuta dalla Trinità: l’io vive alla presenza della Trinità. In questo senso le settime dimore sono la rivelazione più grandiosa di ogni essere umano.
Una nuova verità arricchisce la conoscenza di sé: «Le sembra che -le Tre Persone- non si siano mai allontanate da lei» (id). Ciò che è solamente creduto nelle prime dimore, ora è anche sperimentato: «per una notizia ammirabile conosce con grandissima verità ciò che ritiene per fede» (7,1,6).
La verità di fede di essere dimora di Dio, creduta all’inizio dell’itinerario nel castello, ora diventa esperienza. Per questo bisognerebbe iniziare a leggere il capolavoro teresiano da queste dimore, sia perché chi scrive vive queste esperienze, sia perché crescerebbero i desideri di viverle, e sia perché queste grazie speciali dati ad alcuni hanno lo scopo di «rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti» (Catechismo n. 2014).
Ma perché non sembri che l’uomo debba solo ricevere e non fare nulla, Teresa avverte che occorre l’esercizio delle virtù, «senza le quali rimarrete nane… non è possibile che l’amore si accontenti di rimanere statico» (7,4,9).
Come conclusione è illuminante un testo di Benedetto XVI: «L’essere umano si sviluppa quando cresce nello spirito, quando la sua anima conosce sé stessa e le verità che Dio vi ha germinalmente impresso, quando dialoga con sé stesso e con il suo Creatore» (Caritas in veritate, 76).